lunedì 12 febbraio 2007

L'Italia e il fattore Wimbledon

Diventato il paradigma che ha caratterizzato la politica economica di Tony Blair, il fattore Wimbledon merita, a mio giudizio, una lettura italiana. Farebbe bene al nostro paese la strada che la GB ha seguito in questi ultimi 10 anni scegliendo di aprire, senza condizioni, la strada alle acquisizioni e allo shopping internazionali dei gioielli dell'imprenditoria pubblica e privata?
A Londra dicono che il fattore Wimbledon ha fatto in modo che la City diventasse il vero e nuovo centro mondiale della finanza e degli affari. Poco importa se gli stranieri orami controllino la maggior parte delle aziende britanniche e che non ci sia giorno in cui non si registri il passaggio di un'azienda inglese in mano straniere. I benifici sono più dei rischi. Se è vero come è vero che Londra è ormai il centro economico e finanziario del mondo e che da qui passano ormai la maggior parte delle esportazioni mondiali. Fino a far dire che "la libertà di movimento dei capitali è la vera variabile competitiva di successo per l'economia di un paese".
Ma il risvolto della medaglia c'è e pesa anche molto. Come il brusco abbattimento delle entrate fiscali ..., come la fuga degli utili e dei profitti delle aziende, una volta inglesi, verso l'estero ... e ancora il rischio di pesanti emorragie per l'occupazione.
Ma tant'è che Tony Blair e i suoi Labours non intendono cambiare strategia. Nonostante il paradosso che vede gli industriali inglesi che cominiciano ad essere sempre più preoccupati.
Da più parti anche in Italia si ritiene che l'effetto Wimbledon farebbe bene alla nostra economia. Per tanti motivi si dice. Tra questi il principale sembra essere quello di ridare slancio alla competitività - soprattutto nei servizi e nel credito - ma non solo, farebbe confluire capitali che potrebbero essere riinvestiti, rimettendo in moto un'economia asfittica e autoreferenziata. Qualcuno avanza l'ipotesi che con l'impulso delle multinazionali l'Italia ritornerebbe a primeggiare nella ricerca, nell'innovazione e nei brevetti. Insomma, un panacea per tutto il paese. I ritorni negativi, uguali a quelli che si stanno rivelando in GB sarebbero un caro prezzo da pagare. Ma nel lungo periodo gli effetti benefici ne ridurrebbero la portata e il peso.
La cosa strana è che in Italia, proprio contrariemente a quanto avviene al di là della Manica, a chiedere la totale apertura dei mercati sono gli industriali e a frenare i politici che hanno fatto dell'italianità un bene prezioso da difendere e custodire con gelosa perseveranza. Un peccato d'orgoglio che spesso ci condiziona e ci penalizza. In Italia non abbiamo Wimbledon, dove un inglese non vince da secoli ma sono i migliori tennisti del mondo ad aver creato il mito del torneo di tennis più prestigioso, ma forse ne avremmo proprio bisogno.

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