lunedì 19 marzo 2007

Cesare Battisti e la "giurisprudenza Mitterand"

L'ex terrorista Cesare Battisti è stato arrestato in un albergo di Copacabana, a Rio de Janeiro in Brasile. Era latitante dal 2004, quando si dileguò da Parigi - dove si era rifugiato dal 1990, rifatto una vita da scrittore di gialli polizieschi, sposato e messo al mondo due figlie - all’indomani della notizia che il presidente Chirac aveva dato il suo via libera alla richiesta di estradizione proveniente dall’Italia.
Ex leader del Proletari armati per il comunismo (Pac), Battisti era stato condannato definitivamente due volte all'ergastolo per l’omicidio del igioielliere Torreggiani, - durante il tentativo di rapina veniva ferito anche il figlio del gioielliere , oggi paraplegico, - per l'omicidio di un maresciallo degli agenti di custodia di Udine e di un agente della Digos e di militante del MSI durante un’irruzione in una sede di quel partito a Mestre.
L’annuncio dell’arresto è stato salutato da commenti contrastanti. Dall’Italia Prodi e Amato si sono congratulati con le forze dell'ordine per l’operazione. Dalla Francia invece giungono segnali di solidarietà e di mobiliatazione. In prima linea il filosofo Bernard-Henri Levy, che si fa promotore di una campagna affinché il nuovo presidente della Repubblica - "chiunque sia" – si opponga "a questa estradizione rispettando la parola data a suo tempo da Mitterrand a nome di tutta la Francia". Al filosofo fanno eco l'ex premier francese Pierre Mauroy che la vedova di Mitterrand con registi, attori, cantanti, scrittori e filosofi ricordano che il Comune di Parigi lo aveva posto "sotto la protezione della città", dopo che Battisti aveva formalmente abbandonato la lotta armata. A fare da controcanto alle esternazioni francesi non poteva mancare la voce di Oreste Scalzone che si è detto angosciato dalla notizia ma anche convinto che mai si otterra' per lui l'estradizione dal Brasile, visto che è un paese che non ha un trattato che la preveda.
Il caso di Cesare Battisti riapre una questione che questo paese deve in qualche modo risolvere. A oltre trent’anni dagli anni di piombo e dopo che molti esponenti del terrorismo, rosso o nero, hanno dato un taglio alla lotta armata e alla violenza, ricostruendosi una vita e riprendendo un percorso di socializzazione, ha ancora senso mantenere inalterati i profili di reato di cui si sono resi responsabili, anche se non hanno completato il percorso penitenziario a cui sono stati condananti? Che senso ha ancora la cosiddetta “giurisprudenza Mitterand” secondo la quale la Francia avrebbe dovuto accogliere e proteggere gli ex partecipanti a movimenti di estrema sinistra che hanno rinunciato alla violenza? Questo nostro paese è pronto ad un’amnistia per fatti di terrorismo? Infine come leggere le accorate proteste dei familiari delle vittime che non riescono più ad accettare di vedere ex terroristi diventare protagonisti – omaggiati e riveriti - di dibattiti e di talk show televisivi?
Io credo che a queste domande si dovrà dare una risposta chiara e assoluta. Il terrorismo non può essere amnistiato, ma tanto meno si può accettare che chi ha vissuto questa esperienza non debba trovare la possibilità di riconquistare una nuova vita. Partiamo da qui.

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