venerdì 23 marzo 2007

Il disappunto USA, un atto dovuto!

È scontro aperto tra maggioranza e opposizione dopo il disappunto manifestato dal Dipartimento Usa sulle trattative del governo italiano che ha portato alla liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo. Uno scontro che preannuncia tempesta in vista dell’approvazione al Senato del decreto di rifinanziamento alle missini internazionali. Fausto Bertinotti, che anche da presidente della Camera non molla il megafono della sinistra estrema si convince che : « La trattativa è stata fatta utilizzando legittimamente e coerentemente tutte le forze ufficiali e informali, dentro un progetto guidato dal governo». Gli fa eco il leader dei Ds, Piero Fassino che sottolinea il fatto che «in Afghanistan ci siamo posti l’obiettivo di liberare Mastrogiacomo senza mettere minimamente in discussione il nostro impegno al fianco degli Stati Uniti». Ma dall’opposizione Gianfranco Fini, fa notare che aver trattato con il feroce mullah Dadullah, concedendogli legittimità e notorietà, oltre che la liberazione di 5 terroristi talebani, ci ha regalato la «perdita di credibilità del governo in politica internazionale ». Berlusconi & C gridano allo scandalo per il colpo basso inferto agli amici americani e dichiarano di non essere più disposti a votare il rifinanziamento delle missioni a meno che non cambino le regole d’ingaggio – più aperte all’uso delle armi pesanti - dei nostri militari in Afghanistan.
Il Ministro degli Esteri con la sua proverbiale e fredda lucidità fa sapere che l’obiettivo era salvare una vita umana. Si è fatto. Le chiacchiere sono a zero. Aver voluto o dovuto far ricorso ad un organizzazione umanitaria, Emergency e al suo leader Gino Strada, i nervosismi del ministro della difesa Parisi e le incomprensioni del Dipartimento USA, non cambiano il successo dell’operazione.
Da qui la riflessione che per liberare un ostaggio bisogna trattare con chi lo ha sequestrato. Non c’è altra possibilità. E se si vuole liberarlo bisogna che le trattative abbiano quindi delle condizioni e delle concessioni. In altri casi si è usato il denaro. Tanto denaro – vedi le due Simone e la giornalista Giuliana Sgrena. L’Italia non è l’America. Per noi la vita umana ha un valore “superiore”. Quindi trattiamo e riportiamo a casa i nostri sequestrati. Quando non ci riusciamo come con Baldoni, tentiamo di rimuoverne il ricordo. Il rapimento fa parte della nostra cultura di popolo e ogni volta ne subiamo il tremendo contraccolpo psicologico. Ne abbiamo sofferto così tanto che ogni volta si riapre una drammatica ferita. Non abbiamo la forza di “negoziare”. Cediamo perché prima finisce meglio è.
Così hanno fatto i parenti dei sequestrati in Sardegna e in Calabria. Così ha fatto sempre lo Stato se escludiamo il sequestro dell’on. Aldo Moro– di cui ancora paghiamo un collettivo rimorso per non averlo liberato - ma ricordando Sossi, Cirillo, etc. .
Tutto questo il nostro Ministro degli Esteri lo sa bene. E non ha indugiato nelle rigide posizioni che gli venivano prospettate dai "negoziatori di professione". Mentre da più parti si fa notare che gli americani comunque non potevano non sapere. E che il disappunto ampiamente riferito e riportato – ed oggi così stupidamente strumentalizzato - fa forse parte della strategia complessiva concordata con Condy. Una forma di atto dovuto. Subito risolto da reciproche dichiarazioni di rinnovata fiducia e cooperazione.

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